Formazione, cosa manca per mettere in circolo la conoscenza?
Una riflessione, tratta da www.palestradellascrittura.it, sulla capacitą della formazione continua di agire pił efficacemente come moltiplicatore delle competenze e del cambiamento organizzativo, quando sia accompagnata da strumenti di condivisione dei percorsi.
Venerdi 06 Maggio 2016
Formazione, cosa manca per mettere in circolo la conoscenza?

Formazione, sì, ma cosa manca per mettere in circolo la conoscenza?

di Nicoletta Wegher

Sono fortunata. L’organizzazione per cui lavoro mi ha concesso, negli ultimi tre anni, molte occasioni di formazione. E non parlo soltanto di aggiornamenti specifici sulle competenze che riguardano la mia professione. Parlo di formazione “alta” che abbraccia abilità importanti, quali la comunicazione in pubblico, la scrittura, il lavoro in gruppo, la gestione di progetti.
Partecipo sempre con piacere e interesse a questi incontri. Chissà perché, però, rientrando al mio posto di lavoro, magari dopo un paio di giorni trascorsi a un corso, avverto puntuale e preciso un leggero senso di colpa.

Ho messo a fuoco l’origine di questa sensazione di fronte alla domanda di una collega: «Prima o poi ci racconterai qualcosa di tutta questa formazione a cui hai partecipato?».

La domanda nascondeva una punta ironica: nelle giornate di lontananza dall’ufficio l’operatività legate alla mie mansioni ricade inevitabilmente sulle colleghe; ma oltre l’ironia, un fondo di verità c’era.

Le competenze approfondite durante la formazione diventano strumento spendibile nelle attività lavorative: mi rendono più preparata, in grado di affrontare situazioni più complesse. Assodato questo, però, l’organizzazione alla quale appartengo non ha mai verificato il risultato dei momenti formativi cui ho preso parte.

A scuola, alle lezioni segue la verifica. Al lavoro, alle formazioni segue la speranza che qualcosa venga messo in pratica.
Il metodo scolastico non è trasferibile pedissequamente nelle imprese: non mi aspetto che al rientro dalle trasferte formative mi venga sottoposto un test a risposta multipla. Non voglio svilire la formazione professionale riducendola al solo apprendimento di nozioni teoriche, non è questo l’obiettivo. Mi piacerebbe, al contrario, dare maggior valore a quei momenti di approfondimento: vorrei che l’organizzazione, dopo aver investito nella mia formazione, esigesse un ritorno tangibile da parte mia.

Il senso d’inadeguatezza, probabilmente, sgorga proprio da queste domande: come posso restituire la formazione ricevuta? C’è un modo per rendere quelle competenze profittevoli non solo per la mia crescita professionale, ma anche per l’impresa nel suo insieme?
C’è un motivo in più a sostegno di questi pensieri: l’impresa per cui lavoro appartiene al mondo cooperativo. A maggior ragione, quindi, sento il bisogno di condividere alcune esperienze formative che potrebbero essere preziose anche per altri colleghi.

Fin qui la teoria, ma nella pratica? Penso a una forma di messa in circolo della conoscenza, di questo tipo: io, che ho partecipato alla formazione, sarò poi chiamato a presentare i contenuti che ho imparato a un gruppo di colleghi interessato a quegli stessi argomenti. Per ogni formazione ricevuta, una formazione, sia pur in forma semplificata e compendiata, dev’essere restituita.
La formazione professionale non è un regalo, che il datore di lavoro elargisce di tanto in tanto ai collaboratori “meritevoli”, è un motore di sviluppo per le organizzazioni. Facciamo in modo che la formazione non generi lievi – ma dannosi – sensi di colpa, rendiamola occasione di scambio capace di produrre partecipazione e nuove forme di condivisione.

Fonte: www.palestradellascrittura.it